Il restauro

Ci sono progetti che hanno un corso ben definito: nascono, si sviluppano e vengono realizzati mantenendo il concetto iniziale, senza sorprese e con un andamento confortevolmente lineare. Poi ci sono progetti in cui invece tutto cambia, in cui il passare del tempo diventa quasi un terzo soggetto decisionale, insieme al committente e al progettista, che nel suo svolgersi suggerisce soluzioni e crea ostacoli precedentemente non contemplati. Così è stato per questo progetto. Dai primi incontri all’inizio del 2012 a Città della Pieve, il tempo ha deciso tante cose al posto nostro, decisioni che abbiamo accolto con grande favore e altre che ancora oggi ci lasciano sgomenti. Il tempo ho deciso che il progetto iniziale doveva cambiare, che doveva essere mantenuta ancora di più l’identità del luogo in cui andavamo ad intervenire. Ha fatto in modo che scoprissimo giorno dopo giorno, attraverso i racconti dei tanti pievesi che venivano a trovarci durante il cantiere, quanto il vecchio forno appartenesse alla loro memoria storica, quanto le piccole esperienze personali rendessero questo luogo così importante per tutta una comunità, quanto fosse quindi doveroso rispettare i loro ricordi e le immagini che li rievocavano. Così, recependo queste istanze sussurrate tra i vari aneddoti, il progetto ha forse perso qualcosa della sua autoreferenzialità per aprirsi anche ai non addetti ai lavori, in un’ottica di condivisione che fosse allo stesso tempo centripeta, per raccogliere all’interno di quello spazio chi lo aveva già vissuto e ne è quindi in qualche modo proprietario di ricordi, e centrifuga, per diffondere verso l’esterno la nuova vita e le nuove passioni che adesso lo occupano. La sala di posa si è quindi ridotta, per fare posto ad un ingresso-accoglienza a cui fa da quinta la parete con i forni autentici e con l’iscrizione del 1956 che un’opera di attento restauro ha riportato al loro antico splendore. Allo stesso modo è stato eliminato il ballatoio-archivio nella sala corsi per lasciare intatte non solo le vecchie bocche di forno, ma anche i pianali, le cappe e i rivestimenti originali.

Tuttavia, nell’operare questi cambiamenti, nulla si è perso dell’offerta tecnica del centro e della professionalità con cui questa viene trattata e proposta: la sala di posa con attrezzature di ultima generazione, il consistente e strutturato archivio bibliografico e fotografico a disposizione del pubblico nella sala consultazione, la possibilità di organizzare corsi e seminari. A nostro avviso siamo riusciti così a rendere ancora più chiara l’idea iniziale: ospitare arte fotografica in un vecchio forno, che diventi oggi officina artistica per chi la fotografia la produce e punto di riferimento per chi la fotografia la guarda, dando così nuova vita a questo spazio pur mantenendo la sua vocazione al servizio della comunità. Il tempo ha deciso anche che Firouz Galdo non avrebbe visto la realizzazione di questo progetto. È toccato a noi portarlo avanti e attuare i suoi principi, le sue visioni, i suoi schizzi disegnati in tante bozze. E per chi conosce il modo che aveva di fare architettura in ogni progetto che affrontava, riconoscerà le sue idee in questo luogo: nella versatilità degli spazi, nella linearità dei nuovi arredi fissi che riescono a non interferire con il calore antico degli ambienti che li ospitano, nelle soluzioni tecnologiche con pannelli scorrevoli per aumentare e modificare le superfici espositive. Committente e architetto hanno condiviso in questo progetto l’amore e il rispetto che entrambi hanno sempre nutrito per l’Umbria e per Città della Pieve e questo incontro di intenti vive oggi nel centro che ospita una delle ultime opere di Firouz, acquistate da Attilio, della serie Solo. Il tempo ha cambiato tante cose, per noi e per questo spazio, ma la cosa meravigliosa è che non ha cambiato la passione che questo vecchio forno ha sempre condiviso con tutte le persone che lo hanno frequentato e che hanno così contribuito, ognuno a suo modo, alla sua trasformazione.

Beatrce Chiappini
Open Studio